Maria Morganti, Milano 1965, vive e lavora a Venezia. Il suo lavoro mette al centro della propria pratica l'esperienza del colore, inteso come materia e traccia dell'esistenza. Tra le mostre personali in istituzioni pubbliche: “Il Sostituto: lo studio itinerante”, GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino (2018-2019); Svolgimento di un quadro, Installazione permanente caffetteria, Fondazione Querini Stampalia, Venice (2017); L’unità di misura è il colore Museo di Castelvecchio, Verona (2010); Diario cromatico Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2008); Leporelli, Via Farini, Milano (2007); Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2006). Per Arte Fiera 2019 è stata membro della giuria del Premio Mediolanum per la Pittura assegnato a Nazarena Poli Maramotti.
CESARE PIETROIUSTI. UN CERTO NUMERO DI COSE
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
4 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020
Vorrei provare a stimolare il lettore ad andare a vedere questa mostra di Cesare Pietroiusti attraverso una lettera diretta all’artista. Sperando che la forma epistolare essendo più viva ed autentica nella domanda, possa provocarne delle altre, altrettanto sentite, al prossimo spettatore.
Venezia, 26 settembre 2019
Caro Cesare,
innanzitutto vorrei ringraziarti sinceramente per affrontare come sempre e ancora in questa mostra, temi importanti che penso riguardino ogni artista.
Tutto questo mi ha stimolato alcune considerazioni e vorrei tentare (spero che quello che dico non sia una forzatura visto che non mi sono ancora confrontata direttamente con te, né ho ancora visto la mostra di persona) ad entrare nei tuoi percorsi mentali attraverso una serie di domande, alle quali so che troverò delle risposte nella mostra stessa.
Per organizzare i miei pensieri e provare ad essere più chiara separo le domande in alcune aree tematiche di riflessione.
IL CORPO DEL LAVORO
Il corpo del lavoro si forma lentamente nel tempo, nel corso della propria vita, successivamente, si pone la questione di trovare un modo per rileggere ed aprire ogni cosa.
Affrontare un’antologica con un ragionamento parallelo al lavoro stesso, come una narrazione che scorre accanto alle forme, che dimensioni può prendere?
È forse come cercare di non separare i due punti della realtà, da una parte l’arte e dall’altra l’esistenza?
LA NARRAZIONE DI SÉ
Cosa succede quando ad un artista come te nel bel mezzo della vita si pone di fronte la costruzione di una mostra retrospettiva in un’istituzione museale?
Perché ad un certo punto si sente necessario compiere un processo di ricostruzione su di sé e sul proprio lavoro?
Cosa avviene in questa forma di reinvenzione e rilettura di sé, del proprio percorso attraverso un auto-narrazione cronologica e auto-biografica?
Come affiancare e contrapporre al processo artistico altre cose, suggestioni, pensieri, segni in riferimento alla propria vita?
Come unire alla sfera privata quella della storia?
META-ARTE: IL DISCORSO SULL’OPERA COME OPERA
Questo sguardo che scorre accanto al lavoro può avvenire già nel tragitto stesso e diventare esso stesso un soggetto-opera? (Mi viene in mente ad esempio il lavoro “Self-Portait 1971-2012” di Simone Fattal dove l’artista si è messa davanti ad una telecamera, ripetutamente nel corso degli anni, raccontando sé stessa con il massimo della sincerità nella ricerca totalizzante di una persona)
Possiamo considerare la mostra stessa come un’opera?
APRIRE L’INTERPRETAZIONE ALL’ALTRO
Come fai, se il tuo lavoro è sempre stato un modo per scardinare il sistema autoreferenziale, ad aprirti all’altro all’interno di un formato, quello della mostra antologica che di per sé celebra appunto la dimensione autobiografica?
Possiamo provare a domandare ad altre persone una visione differente rispetto alla nostra auto-rappresentazione?
Tra i due discorsi personali dell’autore, in questa sorta di doppio binario, lo svolgersi dell’opera e la sua rilettura, possiamo chiedere a loro di aggiungerne un terzo che relativizzi il nostro?
O spingendoci ancora più in là, si può chiedergli di partecipare attivamente ad un percorso di rilettura di sé e del proprio lavoro in un processo di re-interpretazione di tutto quello che è fuoriuscito da noi stessi?
Con stima e con affetto,
Maria
Cesare Pietroiusti, Un certo numero di cose, veduta dell’allestimento al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Foto: Giorgio Bianchi, Comune di Bologna